Si rinnovano gli appuntamenti nei siti archeologici della costa quartese, nell’ambito della rassegna ‘Incanti’, ormai da anni foriera di iniziative, con un cartellone di eventi che spaziano dalla letteratura alla musica, dalle conferenze ai laboratori, con la cultura come filo conduttore di un’idea di valorizzazione e di crescita dell’intera comunità.
Ben tre le proposte in questo fine settimana, che si annuncia ancora una volta piuttosto variegato. Il primo, ovviamente a ingresso libero, è in programma venerdì 6 settembre, tra cinema e musica. Alle 20.30 via alla proiezione del film ‘Il Monello’ (The Kid – 1921), di Charlie Chaplin, accompagnate dal pianoforte di Rocco De Rosa, in collaborazione con Società Umanitaria Cineteca Sarda e con l’introduzione di Antonello Zanda. Il rapporto tra musica e cinema, o in maniera più generale tra musica e immagini, ha da sempre caratterizzato la ricerca musicale di Rocco De Rosa, non solo per la grande passione che lega il musicista all’arte cinematografica, ma anche per una naturale forza ‘visiva’ delle sue composizioni. Non a caso le sue musiche sono state scelte da registi quali, tra gli altri, Olmi, Moretti, Maselli, Pupi Avati. L’idea che il cinema, fruito nella sua dimensione originaria possa raggiungere livelli di emozione o di divertimento così alti spesso risulta per gli spettatori del tutto inaspettata e nel caso di Chaplin il coinvolgimento riguarda sia gli adulti che i bambini. Attraverso l’improvvisazione e l’emozione del momento, il pianista segue e commenta la storia sequenza per sequenza. I riferimenti stilistici alla musica d’epoca o alla colonna sonora originale sono solo lontanamente evocati e quello che si ascolta è uno stile moderno ma nello stesso tempo classico, nel senso che viene restituita una melodicità e un’espressività avvertita come ‘familiare’, naturale, attraverso una sensibilità moderna.
Il pianista e compositore lucano Rocco De Rosa vive e lavora a Roma dal ’95. La sua attività musicale si divide tra il lavoro di compositore in diversi ambiti artistici, in particolare cinema, documentari, televisione, teatro e danza. Come pianista dirige per molti anni il gruppo multietnico “Hata”, un progetto nato in seguito alla pubblicazione nel 1996 del cd “Trasmigrazioni”, curato dallo stesso De Rosa con Daniele Sepe e Paolo Fresu. “Hata” è anche il titolo del cd pubblicato nel ’98, da cui la Putumayo World Music di New York ha scelto il brano “Malonghi” (scritto da Rocco De Rosa e cantato da Martin Kongo), per inserirlo nella compilation “One World, Many Cultures”, dove sono presenti artisti quali Alan Stivell, Youssou N'Dour, Cheb Mami e Ziggy Marley. Altre presenze in compilation internazionali sono nei cd “Mediterraneo” (2007), della portoghese Difference Music, e “Italia” (2009), sempre della Putumayo. “Rotte Distratte” è il disco della fine del 2002 che ha rappresentato un ritorno alle sonorità e alla musicalità più strettamente legate alla cultura mediterranea attraverso un particolarissimo incrocio tra minimalismo, jazz e musica popolare. Con “Trammari” (2006) Rocco De Rosa prosegue nel suo percorso musicale che già in “Rotte Distratte” aveva subito una profonda virata verso sonorità prevalentemente acustiche e il “ritorno” a ritmi e a melodie che attingevano ad una sorta di “memoria sonora collettiva“, arcaica e nello stesso tempo attuale, indissolubilmente legata al Sud dell’Italia, alla sua cultura e alle sue tradizioni. Tra gli ospiti presenti nel disco vanno ricordati Ralph Towner, Maria Pia De Vito, Daniele Sepe, Marco Siniscalco, Michele Rabbia. Nel 2014 esce "Sonoaria”, doppio CD distribuito da EGEA che ha come filo conduttore la ricerca di un linguaggio musicale nello stesso tempo antico e nuovo, una sorta di “folk immaginario” dai confini incerti, dove far convivere voci e suoni del mondo. Il secondo CD vede per la prima volta De Rosa in versione solista e contiene undici brani di solo piano, quasi tutti inediti.
Sabato 7 settembre doppio appuntamento: prima letteratura e poi ancora cinema con accompagnamento musicale. Alle 19:15 la presentazione dei libri ‘Nonostante tutto’ e ‘Il primo giorno di scuola’, di Daniele Altieri; dialoga con l’autore la pedagogista Veronica Cadelano, letture di Monica Zuncheddu. Per raccontare queste storie bisogna cominciare dal significato della parola fragilità̀, “che è di uno come di ognuno di noi”. Fragile è la debolezza, la vulnerabilità̀, è il percepirsi differenti, l’essere etichettati dagli altri come diversi. Fragile è il bambino, ma anche il malato ed il vecchio. Fragile è soprattutto chi è solo. E la fragilità̀ è anche nella scuola. Ognuno, soprattutto i bambini, sono esposti all’essere fra la vita e il mondo, fra quello che è noto e quello che non lo è. Ognuno ne porta il segreto: il “non ce la faccio”. E lo racconta solo a chi ama, alla persona di cui si fida. Edo e Saro, protagonisti di queste due storie, sono bambini fragili. È per questo che si rompono facilmente. Però riescono a rialzarsi. Sono due bambini che si trovano alle prese con situazioni più̀ grandi di loro, qualche volta ne escono incrinati, ma quasi mai vinti. A volte sono così forti da sapersi aggiustare da soli, altre volte no. “Non ci riesco”, “Non sono capace”, sono le parole che gli frullano nella testa, che confidano solo a chi gli è davvero caro. È allora, in quei momenti che basta offrire loro un piccolo aiuto, stargli accanto, per ritrovare in quella loro fragilità̀ il sapore della felicità.
Daniele Altieri nasce a Milano. Pedagogista, già insegnante specializzato per le attività di sostegno nella scuola Secondaria di Secondo Grado è poi professore a contratto di Pedagogia Speciale presso l’Università di Cagliari e componente della Società Italiana di Pedagogia Speciale, membro del Consiglio Direttivo Nazionale dell’UNIPED - Unione Italiana Pedagogisti. Autore di saggi e articoli di argomento pedagogico, direttore e docente di numerosi corsi di formazione ed aggiornamento per educatori, insegnanti, pedagogisti e psicologi, vanta tra i suoi lavori più recenti il saggio-racconto ‘Disabilità e integrazione. La storia di Adriano’ (Istituto Itard Editore, 2019).
A seguire spazio alla proiezione del film ‘Cainà - L’Isola e il continente (1922) , film muto girato in Sardegna nel 1922 dal regista Gennaro Righelli. Anche in questo caso il film è accompagnato dalle musiche dal vivo del maestro Rocco De Rosa al pianoforte, per un evento realizzato in collaborazione con Società Umanitaria Cineteca Sarda. Chi è Cainà? “Degenerata”, la definisce la sua stessa madre. “Strega”, la apostrofano i vegliardi del villaggio. Per spezzare l’immobilismo possiamo immaginare due strategie: ribellarsi in casa, oppure darsi alla fuga. Cainà sceglie la seconda. O forse, più che una scelta, è un impulso. “Il suo desiderio appartiene solo al mare e a terre sconosciute”, ci spiega una didascalia. L’isola la asfissia. Le riempiono invece testa e polmoni i racconti dei marinai accampati attorno al fuoco, che lei ascolta di nascosto. Cainà, più che una figlia di Iorio di dannunzianza memoria, forse anche più che un’eroina alla maniera di Grazia Deledda, sembra una Bovary analfabeta. Si infila clandestinamente nel veliero, per andare. La distanza non è tanta, ma anche in un breve tratto di mare le onde possono diventare cattive. E Righelli è un regista marittimo spettacolare. Tra i tanti meriti di quest’opera densa, tesa, compatta, disperata, talvolta incomprensibile, c’è la Sardegna. Nelle ricerche pluriennali che abbiamo dedicato al paesaggio italiano nei primi anni del Novecento, spicca l’assenza di immagini cinematografiche dedicate al territorio sardo. Cainà è il film che più si avvicina a quei ‘dal vero’ perduti. Nei panorami fantasticamente aspri della Gallura, nei villaggi che sembrano tutt’uno con la pietra, nei nuraghi ineffabili, nel folklore delle feste di paese, nei lamenti funebri. Gianni Olla, tra i maggiori conoscitori del cinema sardo, capace di individuare con precisione chirurgica le location del film (“tra Aggius e Bortigiadas”, prevalentemente), arriva a dire che pure gli interni sono arredati “con scrupolo quasi etnografico”.
Domenica 8 settembre spazio alla conferenza dell’archeologo Alfonso Stiglitz ‘Nuragici e fenici in contrappunto: cronache di un incontro’. Nella conferenza si approfondirà capire cosa succede quando gruppi di Nuragici e di Fenici si incontrano nei diversi luoghi del Mediterraneo e della Sardegna, in un’epoca che possiamo individuare grosso modo tra il decimo e il sesto secolo prima della nostra era. Ogni luogo e ogni epoca danno origine a forme di incontro diverse, con soluzioni differenti e cambiamenti non preordinati. In sostanza non esiste una sola Sardegna, ma l’Isola è composta da una varietà di comunità, ognuna delle quali dà una risposta diversa alle nuove domande che percorrono il Mediterraneo del primo millennio prima della nostra era.
Alfonso Massimiliano Stiglitz, archeologo specialista, è stato direttore del Museo civico del Comune di San Vero Milis e codirettore scientifico degli scavi condotti dal Comune di San Vero Milis e dalla Brown University (USA) nel sito monumentale di s’Urachi. È stato anche co-direttore scientifico degli scavi dell’Università di Cagliari nell’area del tempio di Astarte sul Promontorio di Sant’Elia a Cagliari. ‘Archeologo dei paesaggi’, si occupa in particolare di quelli costieri, dello spazio urbano e dei suoi rapporti con quello rurale. Svolge ricerche specifiche sugli incontri tra culture nella Sardegna del I millennio a.C. e sulle influenze del razzismo e del nazionalismo sull’archeologia. Svolge un’intensa attività si condivisione delle conoscenze e di comunicazione archeologica, per la quale ha ricevuto nel 2020 il premio “Paolo Bernardini per la divulgazione in archeologia”.
In tutti i giorni di eventi sarà come sempre possibile visitare il Nuraghe Diana, guidati dall’archeologa Patrizia Zuncheddu, che è anche direttrice artistica della rassegna. Venerdì due turni, il primo alle 18.15 e il secondo alle 19.15; sabato l’orario di inizio è programmato alle 18; domenica turno A alle 18 e turno B alle 19.
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Aggiornamento:
04/09/2024, 13:07